Ciao Valter,
Valter Mura ha scritto il 02/11/2018 alle 10:27:
Per mailing list dei traduttori tecnici italiani ti riferisci all'AITI? O
a TP?
No, mi riferisco a Langit, una mailing list composta da traduttori che si
aiutano reciprocamente in caso di dubbi di traduzione, di ordine fiscale,
ecc., il cui server è ospitato da Cineca, un consorzio di varie università
per la gestione dei servizi informatici.
http://www.vernondata.it/langit/
poi esiste anche la "consorella" Biblit costituita da traduttori letterari:
http://www.biblit.it/
Quello che mi dispiace rilevare, sono però contento allo stesso tempo
per altri motivi, è che non puoi fermare né tentare di cambiare gli usi
linguistici di un popolo. Questi anglicismi entrati di forza nella
nostra lingua sono indice della nostra inferiorità culturale nel campo
informatico, purtroppo bisogna prenderne atto.
Sì, concordo pienamente.
Per qualche inspiegabile motivo, ovviamente storico, siamo propensi ad
accettare continuamente prestiti da altre lingue, senza tentare neanche
di "digerirle", come ben sottolineato nell'esempio che hai riportato sotto.
Io credo che in parte sia supponenza, ossia la convinzione della
superiorità della nostra cultura, che arriva da molto lontano.
In questo caso penso che, a differenza, per esempio, di Paesi come Francia
e Spagna che esagerano addirittura in senso opposto, siamo troppo
genuflessi nei confronti dell'inglese (come pure dei politicanti di turno,
del resto), non parliamo poi dell'inglese informatico. Un po' per pigrizia,
in effetti l'inglese è più conciso e diretto dell'italiano perciò nel
linguaggio tecnico sembra più immediato far riferimento al termine
americano, un po' perché c'è questa idea provincialotta italiana che il
termine inglese fa fine e fa figo far sapere che l'inglese lo parliamo
benissimo. Penso che sia il contrario della supponenza, se fossimo convinti
della superiorità della nostra cultura, come lo sono Francia (con la sua
grandeur) e Spagna, non ci spalmeremmo supinamente sull'accettazione di
ogni termine senza riserve, sia tramite orribili calchi, sia inserendo
tanta terminologia inglese in qualunque contesto.
Nel ventennio, infatti, bisognava tradurre qualsiasi termine, all'epoca
soprattutto francese, in italiano, la cosiddetta "italianizzazione", con
esiti molto spesso ridicoli, ma il concetto era chiaro, la presunta
superiorità della lingua e cultura italiane postulava che fossero le altre
lingue a inchinarsi alla nostra.
Detto questo, io consiglio sempre a chi volesse avvicinarsi alla nostra
meravigliosa lingua e alle nostre cugine, la lettura del sempre valido
saggio "Le origini delle lingue neolatine" di Carlo Tagliavini (testo
noto anche come "Il Tagliavini").
Dopo questa lettura gli anglicismi non sembreranno più così lontani. :)
Ricordo che all'università era uno dei testi principali di filologia
romanza, io non l'ho letto perché mi era toccata filologia germanica, ma
grazie per averlo ricordato, mi sembra molto interessante e degno di
lettura. :-)
Siamo andati forse un po' OT, o meglio FT, :-) ma, visto che comunque è
venerdì e si lavora con l'italiano, credo sia comunque piacevole ogni tanto
fare qualche utile digressione.
Buon fine settimana!
Elisabetta
--
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